Oggi non pubblico nessuna ricetta, solo qualche mio pensiero. Un mio buon amico mi ha suggerito un film con Meryl Streep che parla di cucina e ieri sera mi sono seduto in poltrona e me lo sono visto. Lei al solito bravissima, un personaggio incredibile, anche se dopo un po' quella voce così sdolcinata mi dava un po fastidio.
"Bon appetit" diceva la Julia Child del film, signora bene americana trasferitasi in quel di Parigi negli anni '50, ed in effetti tutto il contorno era molto, ma molto affascinante. Come umile "uomo prodotto" nel campo della moda da trent'anni, un plauso a lui, Stanley Tucci, meravigliosamente vestito, gran fascino, mai lezioso nonostante avesse al dito una patacca di anello con turchese, grosso come una piazza.
Lei la Streep/ Child, decisamente esuberante, ma non così chic, se non fosse per quel giro di perle al collo portate anche davanti ai fornelli, che la mette al di sopra di qualsiasi critica ad una vecchia signora borghese pre- rivoluzione sessantottina ( in fondo anche lei era innovativa).
Parigi a quei tempi era un sogno, la casa una meraviglia e nella scena, quando lei ha spalancato la finestra, ho sentito anch'io l'aria fresca. Ma lasciamo da parte le malinconie...
Aprire un blog oggi, non è più una novità, tanto meno di cucina. Ai fornelli oggi ci si mettono tutti, donne, uomini, ragazzi e ragazze, le ricette grosso modo sono un po' le stesse, almeno per i principianti; torte casalinghe, stufati e spezzatini, pasticci e pasta al forno, pesce (poco) e zuppe di ogni tipo.
Ma cosa è che colpisce in un blog? Inizialmente pensavo alla grafica, lineare, semplice, cercando di non cadere nel banale tipo "cartoon", poi pensavo alle ricette, qualcosa di diverso per distinguersi dagli altri (impossibile...) alla fine ho scoperto che per chi come me non ha un pubblico affezionato, i risultati volgono alla banalità: crostata di frutta con crema pasticcera, al primo posto.
Devo dire che si presenta bene, la foto ha ripagato la mia fatica, ma giuro, avrei pensato ad altro, che ne so, la zuppa con l'uovo e il bacon, piuttosto che la torta alla crema ganache.
Allora sono combattuto: meglio la semplicità o meglio la ricerca? I lettori sono più tradizionalisti o innovatori? Un dubbio...
Io amo spaziare, e benché il blog faccia riferimento al cibo e alla mia passione per la cucina, intendo aggiungere note che riguardano la moda, perchè le due cose possono coesistere, e perchè sono convinto che se si ama l'estetica, non si pensa solo al cibo in se ma anche a come presentarlo, esattamente come facciamo quando abbiniamo la cravatta alla camicia o all'abito.
Non è cosa facile, attenzione. Si fa in fretta a dire, metto questo, metto quello... ma il buon gusto non lo si compra, lo si ha dentro e poi al massimo si affina, imparando giorno dopo giorno, osservando attentamente chi ce l'ha nel sangue, e badate bene, non è detto che ci si riesca, anche se dentro di voi l'amore per le cose belle si accumula come una riserva aurea pronta a diventare un lingotto prezioso per saldare un debito.
Ricordo le mie prime uscite alle fiere di settore, quando gli industriali del biellese, chiamati da noi addetti ai lavori "tessutai", esponevano le loro collezioni a Villa d'Este (in seguito a Villa Erba) a Cernobbio sul lago di Como.
Nessuno pensava di presentarsi alla fiera in jeans, tanto meno con le sneacker o con la t-shirt anche se griffata. Negli anni 80, in una fiera come quella, era di rigore la cravatta, l'eleganza comunque. Gli stessi addetti ai lavori, in certi contesti, sembravano figli di Edoardo VIII, uomo charmant di altissimo lignaggio, ex re d'Inghilterra, che riuscì ad inventarsi lo smoking blu midnigth, una tonalità di blu così scura da sembrare nera, ma che faceva la differenza in fatto di stile...
Uno degli appuntamenti più attesi era la pausa pranzo nel ristorante dell'hotel.
Ricordo corridoi con archi di fiori freschi che venivano sostituiti ogni giorno, non appena appassivano, da fiorai che probabilmente facevano la loro fortuna addobbando l'hotel per la fiera. Il servizio era lo stesso che usavano per gli ospiti paganti, anche se in quel periodo l'hotel con le sue camere era adibito a fiera campionaria e quindi nessuno dormiva li la notte per mancanza di stanze ad uso delle aziende che esponevano.
Intanto era un bel vedere.
Stare seduto su di una poltrona di broccato inglese mentre sfogli cartelle di tessuti meravigliosi dai nomi altisonanti come Crossbred, Sportex, Tasmanian o Sallia super 120'S è un'altra cosa. Oggi tutto è standarizzato, le sedie di plastica non hanno calore, così come non lo hanno gli stand cubici con pareti di moquette; in quegli anni tutto era curato nel dettaglio, le guide rosse si sprecavano, gli ottoni erano lucenti e i camerieri al ristorante in perfetta livrea bianca immacolata.
Il menù alla carta, per evidenti ragioni comprendeva due primi, due secondi, tre contorni e tre dolci. Vino rosso, vino bianco e acqua a volontà fissi sulla tavola. Nella mia prima edizione, il servizio era ancora al tavolo, in quelle a seguire si accedeva ad un buffet e si veniva serviti dal cameriere: un lussuoso self-service.
Tutto era fresco, le cucine dell'hotel sfornavano cibi prelibati in continuazione, il servizio era ottimo, sembrava una villeggiatura e non un lavoro.
Pasticci di lasagne, risotti perfettamente mantecati e mai scotti, arrosti di vitello tenerissimi, vassoi di Salmone atlantico su un letto di limone, pinoli e olive con un profumo da far resuscitare...
E i dolci... bavaresi, torte con creme finissime, coppe di zabaglione denso con lingue di gatto che faticavano ad inzupparsi, crostate di frutta che sembravano mosaici multicolore.... la bellezza.
Il protocollo andava seguito, tutti in coda per l'ingresso al ristorante, niente spintonamenti, tutti sorridenti (e vorrei vedere), a nessuno veniva in mente di chiederti il pass d'ingresso, sarebbe stato oltraggioso.
Dopo il caffè, una passeggiata nel giardino o lungo il lago, ai piedi della villa o nel porticciolo, a fumare o a rilassarsi prima della ripresa del proprio lavoro, commentando a volte qualche straniero con una giacca un po troppo vistosa (vietati i blazer bordeaux), un americano un po troppo borioso (buyer di grandi magazzini come Saks, Bloomingdale's, Bergdorf Goodman o Barney's) o qualche suggerimento su collezioni di tessuto degne di nota.
Altra vita....
In genere ci si fermava tre giorni, era un appuntamento al limite della mondanità. Gli industriali del settore sceglievano con cura i loro collaboratori, perchè la classe non è acqua e se il tuo personale ha giacca o abito finemente sartoriale, scarpa inglese, camicia di cotone pregiato o cravatte delle migliori sete jacquard, sei un vincente, sicuramente davanti alla porta della tua suite ci sarà la coda.
Oggi niente di tutto questo è rimasto, e forse è anche giusto, anche la moda è cambiata. E' mentre oggi troneggia (non uso questa parola a caso...) l'apparire al posto dell'essere, anche il cibo è cambiato, più verdure crude e meno contorni sfiziosi, meno arrosti e più affettati, più insalata di pasta e meno risotti, paghiamo tutto, la fretta, la crisi, anche il pane è contato, nell'ultima fiera nel sacchetto non più di tre michette.
Magri e belli, bon appetit!
"Bon appetit" diceva la Julia Child del film, signora bene americana trasferitasi in quel di Parigi negli anni '50, ed in effetti tutto il contorno era molto, ma molto affascinante. Come umile "uomo prodotto" nel campo della moda da trent'anni, un plauso a lui, Stanley Tucci, meravigliosamente vestito, gran fascino, mai lezioso nonostante avesse al dito una patacca di anello con turchese, grosso come una piazza.
Lei la Streep/ Child, decisamente esuberante, ma non così chic, se non fosse per quel giro di perle al collo portate anche davanti ai fornelli, che la mette al di sopra di qualsiasi critica ad una vecchia signora borghese pre- rivoluzione sessantottina ( in fondo anche lei era innovativa).
Parigi a quei tempi era un sogno, la casa una meraviglia e nella scena, quando lei ha spalancato la finestra, ho sentito anch'io l'aria fresca. Ma lasciamo da parte le malinconie...
Aprire un blog oggi, non è più una novità, tanto meno di cucina. Ai fornelli oggi ci si mettono tutti, donne, uomini, ragazzi e ragazze, le ricette grosso modo sono un po' le stesse, almeno per i principianti; torte casalinghe, stufati e spezzatini, pasticci e pasta al forno, pesce (poco) e zuppe di ogni tipo.
Ma cosa è che colpisce in un blog? Inizialmente pensavo alla grafica, lineare, semplice, cercando di non cadere nel banale tipo "cartoon", poi pensavo alle ricette, qualcosa di diverso per distinguersi dagli altri (impossibile...) alla fine ho scoperto che per chi come me non ha un pubblico affezionato, i risultati volgono alla banalità: crostata di frutta con crema pasticcera, al primo posto.
Devo dire che si presenta bene, la foto ha ripagato la mia fatica, ma giuro, avrei pensato ad altro, che ne so, la zuppa con l'uovo e il bacon, piuttosto che la torta alla crema ganache.
Allora sono combattuto: meglio la semplicità o meglio la ricerca? I lettori sono più tradizionalisti o innovatori? Un dubbio...
Io amo spaziare, e benché il blog faccia riferimento al cibo e alla mia passione per la cucina, intendo aggiungere note che riguardano la moda, perchè le due cose possono coesistere, e perchè sono convinto che se si ama l'estetica, non si pensa solo al cibo in se ma anche a come presentarlo, esattamente come facciamo quando abbiniamo la cravatta alla camicia o all'abito.
Non è cosa facile, attenzione. Si fa in fretta a dire, metto questo, metto quello... ma il buon gusto non lo si compra, lo si ha dentro e poi al massimo si affina, imparando giorno dopo giorno, osservando attentamente chi ce l'ha nel sangue, e badate bene, non è detto che ci si riesca, anche se dentro di voi l'amore per le cose belle si accumula come una riserva aurea pronta a diventare un lingotto prezioso per saldare un debito.
Ricordo le mie prime uscite alle fiere di settore, quando gli industriali del biellese, chiamati da noi addetti ai lavori "tessutai", esponevano le loro collezioni a Villa d'Este (in seguito a Villa Erba) a Cernobbio sul lago di Como.
Nessuno pensava di presentarsi alla fiera in jeans, tanto meno con le sneacker o con la t-shirt anche se griffata. Negli anni 80, in una fiera come quella, era di rigore la cravatta, l'eleganza comunque. Gli stessi addetti ai lavori, in certi contesti, sembravano figli di Edoardo VIII, uomo charmant di altissimo lignaggio, ex re d'Inghilterra, che riuscì ad inventarsi lo smoking blu midnigth, una tonalità di blu così scura da sembrare nera, ma che faceva la differenza in fatto di stile...
Uno degli appuntamenti più attesi era la pausa pranzo nel ristorante dell'hotel.
Ricordo corridoi con archi di fiori freschi che venivano sostituiti ogni giorno, non appena appassivano, da fiorai che probabilmente facevano la loro fortuna addobbando l'hotel per la fiera. Il servizio era lo stesso che usavano per gli ospiti paganti, anche se in quel periodo l'hotel con le sue camere era adibito a fiera campionaria e quindi nessuno dormiva li la notte per mancanza di stanze ad uso delle aziende che esponevano.
Intanto era un bel vedere.
Stare seduto su di una poltrona di broccato inglese mentre sfogli cartelle di tessuti meravigliosi dai nomi altisonanti come Crossbred, Sportex, Tasmanian o Sallia super 120'S è un'altra cosa. Oggi tutto è standarizzato, le sedie di plastica non hanno calore, così come non lo hanno gli stand cubici con pareti di moquette; in quegli anni tutto era curato nel dettaglio, le guide rosse si sprecavano, gli ottoni erano lucenti e i camerieri al ristorante in perfetta livrea bianca immacolata.
Il menù alla carta, per evidenti ragioni comprendeva due primi, due secondi, tre contorni e tre dolci. Vino rosso, vino bianco e acqua a volontà fissi sulla tavola. Nella mia prima edizione, il servizio era ancora al tavolo, in quelle a seguire si accedeva ad un buffet e si veniva serviti dal cameriere: un lussuoso self-service.
Tutto era fresco, le cucine dell'hotel sfornavano cibi prelibati in continuazione, il servizio era ottimo, sembrava una villeggiatura e non un lavoro.
Pasticci di lasagne, risotti perfettamente mantecati e mai scotti, arrosti di vitello tenerissimi, vassoi di Salmone atlantico su un letto di limone, pinoli e olive con un profumo da far resuscitare...
E i dolci... bavaresi, torte con creme finissime, coppe di zabaglione denso con lingue di gatto che faticavano ad inzupparsi, crostate di frutta che sembravano mosaici multicolore.... la bellezza.
Il protocollo andava seguito, tutti in coda per l'ingresso al ristorante, niente spintonamenti, tutti sorridenti (e vorrei vedere), a nessuno veniva in mente di chiederti il pass d'ingresso, sarebbe stato oltraggioso.
Dopo il caffè, una passeggiata nel giardino o lungo il lago, ai piedi della villa o nel porticciolo, a fumare o a rilassarsi prima della ripresa del proprio lavoro, commentando a volte qualche straniero con una giacca un po troppo vistosa (vietati i blazer bordeaux), un americano un po troppo borioso (buyer di grandi magazzini come Saks, Bloomingdale's, Bergdorf Goodman o Barney's) o qualche suggerimento su collezioni di tessuto degne di nota.
Altra vita....
In genere ci si fermava tre giorni, era un appuntamento al limite della mondanità. Gli industriali del settore sceglievano con cura i loro collaboratori, perchè la classe non è acqua e se il tuo personale ha giacca o abito finemente sartoriale, scarpa inglese, camicia di cotone pregiato o cravatte delle migliori sete jacquard, sei un vincente, sicuramente davanti alla porta della tua suite ci sarà la coda.
Oggi niente di tutto questo è rimasto, e forse è anche giusto, anche la moda è cambiata. E' mentre oggi troneggia (non uso questa parola a caso...) l'apparire al posto dell'essere, anche il cibo è cambiato, più verdure crude e meno contorni sfiziosi, meno arrosti e più affettati, più insalata di pasta e meno risotti, paghiamo tutto, la fretta, la crisi, anche il pane è contato, nell'ultima fiera nel sacchetto non più di tre michette.
Magri e belli, bon appetit!
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